il rapporto con l’animale come condizione per la community  

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Ho letto l’intervento dell’antropologa – che insieme a quelli di altri tre studiosi, raccolti in appendice, riflette su questo testo di Coetzee – come un contrappunto alla posizione che privilegia il sentire empatico o a quella del finale, vicina all’implosione, di Elizabeth Costello, stretta tra la necessità di non poter fare altrimenti e l’incapacità di tradurre all’esterno questa necessità, esposta dunque al rischio di una paranoia cosciente.

Barbara Smuts è un’antropologa dell’Università del Michigan, che ha studiato a lungo i babbuini, e studiati “dal vivo”, nel senso che ci ha vissuto insieme per mesi e in più sessioni. Devo dire che dei quattro interventi è quello più interessante; il filosofo dice poco, la critica letteraria ha affinato il suo brillantissimo ingegno sugli aspetti nascosti e impliciti del testo, la storica delle religioni si avventura in una comparazione sul ruolo sacrale degli animali. L’antropologa è l’unica che prende posizione rispetto a quanto emerge nel libro, che è anche una perorazione a favore dei diritti degli animali, una denuncia del carattere nazista dell’industria zootecnica, ma è prima di tutto – nel senso che è questa la radice di ogni posizione “ecoresponsabile”, come viene chiamata nel testo – un invito ad esperimentare un rapporto con il non umano.

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