il rapporto con l’animale come condizione per la community  

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“E’ che non so più dove sono. Mi sembra di essere perfettamente a mio agio tra la gente, di avere rapporti perfettamente a mio agio tra la gente, di avere rapporti perfettamente normali. E’ possibile, mi chiedo, che tutti quanti siano complici di un crimine di proporzioni stupefacenti? Sono tutte fantasie? Devo essere pazza. Eppure ogni giorno ne vedo le prove. Le stesse persone che sospetto le producono, me le mostrano, me le offrono. Cadaveri. Frammenti di cadaveri che hanno comprato in cambio di denaro.

E’ come se andassi a trovare degli amici, e dopo che ho fatto un’osservazione gentile sulla lampada che hanno in salotto, loro dicessero: - Sì, è bella, vero? E’ in pelle di ebrea polacca; secondo noi è la migliore, la pelle delle vergini polacche -. Poi vado in bagno e sull’involto di una saponetta c’è scritto: - Treblinka – 100% stearato umano -. Sto forse sognando?, mi chiedo. Che razza di casa è mai questa?

Eppure non sto sognando. Guardo nei tuoi occhi, in quelli di Norma, in quelli dei bambini, e vedo soltanto bontà, bontà umana. Calmati, mi dico, stai facendo d’una mosca un elefante. La vita è così. Tutti scendono a patti con la vita, perché tu non puoi? Perché tu non puoi?

Gira verso di lui un volto rigato di lacrime. Che cosa vuole, pensa lui. Vuole che risponda per lei alla sua domanda?

Non sono ancora sull’autostrada. Lui accosta, spegne il motore, prende sua madre tra le braccia. Inspira l’odore di crema idratante, di pelle vecchia. “Su, su” le sussurra in un orecchio. “Su, su. Tra poco passa”» (p. 84-5).

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