INTRODUZIONE al libro LINEAMENTI DI ZOOANTROPOLOGIA, di Roberto Marchesini.  Edizione Calderini Edagricole, 2000, pagg. 434.

 

Chi sono gli animali?  Ci vivono accanto, popolano il nostro immaginario, riflettono come uno specchio le contraddizioni più intime che albergano nei fondali dell'inconscio, ritornano nei sogni e ci spaventano o ci caricano di sensi di colpa, ma sanno anche traghettarci lontano dalla cappa noiosa e spietata del nostro essere uomini. Ci sono ancora degli animali in grado di insegnarci il volo, di dare forma al nostro bisogno di segni o di suggerire alla fantasia un mondo con altri orizzonti, altri colori, altre percezioni?
Domande come queste possono sembrare inutili vezzi, soprattutto nella nostra cultura imprecisa, pronta a scambiare una riproduzione virtuale per la realtà, adorante davanti a ogni surrogabilità, troppo attenta al miraggio ottico e alla confezione per fermarsi a riflettere sul contenuto del dono. Gli animali sono dovunque, poco importa se, il più delle volte, sono solo dei pupazzi, incapaci di portarci fuori dal vicolo cieco della nostra solipsia. Richiamano la figura o le funzioni dell'animale, e questo tranquillizza una voce interiore la cui natura resta incognita.
E' allora lecito chiedersi: perché abbiamo bisogno di questi feticci? Perché li eleggiamo compagni dei nostri figli? Perché utilizziamo le loro simbologie esauste per costruire universi rappresentativi?
Per dare una risposta a questi interrogativi non basta conoscere il nostro profilo psicologico, la nostra storia di uomini, il catalogo delle pulsioni che ci animano, in altri termini apprestarsi a un'indagine sulla specie Homo sapiens partendo da una concezione autarchica dell'umanità. Così facendo arriveremmo a conoscere solo in minima parte e in maniera approssimativa questo fenomeno, come parimenti accadrebbe se ritenessimo sufficiente la conoscenza dell'etologia animale per definire il tipo di rapporto che si viene a instaurare tra l'uomo e l'animale indagato.
Per capire fino in fondo questa relazione, il modo o i modi in cui si articola, le valenze, i rischi e le opportunità, per dare una spiegazione a questo bisogno profondo che l'uomo ha di interagire con le altre specie,
è necessaria un'analisi ad hoc. Non si tratta infatti di eleggere l'animale a oggetto di studio, ma di soffermarsi sul rapporto, cioè sui numerosi piani di interfaccia del partner umano e animale, partendo proprio dai livelli di reciprocità, dall'adeguatezza ovvero dalla competenza a soddisfare particolari bisogni, dall'autenticità di queste pulsioni. Molti ritengono che il riferirsi all'alterità animale sia sempre e comunque un atto di sostituzione, il che in buona sostanza assegnerebbe all'animale solo un ruolo di tipo surrogatorio. Senza negare l'eventualità di una tale situazione, cercherò di dimostrare che, al contrario, il bisogno della referenza animale è autentico, fa parte integrante della nostra cultura e addirittura può essere riconducibile alla nostra stessa etologia. Inoltre in questo libro fornirò esempi per attestare come spesso sia vero esattamente il contrario: ossia che gran parte delle referenze presenti nella nostra consuetudine e nella nostra cultura vanno a surrogare il bisogno di una referenza animale. L'animale talvolta sostituisce un altro referente (affettivo, educativo, etc.) ma il più delle volte viene sostituito. L'animale infatti sta scomparendo, un dato di partenza preoccupante se riteniamo la referenza animale indispensabile per potenziare i contenuti della nostra umanità, irrilevante se consideriamo l'alterità animale insignificante per la nostra storia di uomini. Il dato rimarrebbe poco significativo per l'uomo - anche facendo salve quelle riflessioni etiche tese a riconoscere la titolarità di un inalienabile diritto di esistenza all'alterità animale - se partissimo dal presupposto che non esistono aree di promiscuità (ovvero di ibridazione culturale) tra il mondo umano e quello non umano. Considerare il ruolo centrale della relazione con l'animale nel potenziare, o nel rendere possibili, i contenuti umani più peculiari non significa valutare l'animale in modo strumentale. Al contrario, vuole dire rendere comprensibile l'importanza della partnership con il mondo non umano nella storia e nel presente. Una partnership, ovvero la connessione di potenzialità percettive, interpretative e operative, che ha dato luogo a quell'insieme di prestazioni che arbitrariamente (e arrogantemente) ascriviamo alla nostra specie, come se essa si muovesse in completa autonomia e solitudine sul pianeta. Capire che una gran parte delle performances extragenetiche dell'uomo è in realtà il frutto di un'ibridazione culturale con la realtà non umana è il punto di partenza della ricerca zooantropologica. Oggi l'uomo tende ad attribuirsi il merito di ogni conquista tecnologica e culturale dimenticando il suo debito verso l'alterità animale, dimenticando cioè che all'inizio di ogni grande innovazione vi è stata un'alleanza zooantropologica. Diversi peraltro sono stati i contratti performativi che l'uomo ha stretto con le diverse specie animali. E se Darwin con tocco rivoluzionario ha saputo dare la spallata finale all'edificio platonico delle essenze e della purezza, oggi, a centoquarant'anni di distanza dalla pubblicazione di L'Origine delle specie, scopriamo come la contaminazione con la realtà animale, la chimera umano/non umano sia sempre stata l'inizio di ogni rivoluzione tecnologica dell'uomo. Questa presenza ibrida, che ci richiama l'hybris del mondo classico, scacciata, rinnegata, aborrita, ritorna per farci capire quanto sia indispensabile per l'uomo varcare la soglia della solitudine di specie per aumentare il livello delle sue prestazioni o addirittura accedere a nuove performances, negate dai geni ma presenti nel mondo animale.
Ecco allora che diventa importante chiedersi quale potrà essere l'esito di questa desertificazione animale, di questa caduta di consuetudine con l'infinita diversità della galassia non umana. Ci stiamo sempre di più accontentando dei nostri sogni sull'animale; la nostra creatività sforna zoomorfie pateticamente ripetitive, ben al di sotto dell'inventario naturale.
Cosa significa accontentarsi? E' chiaro: significa impoverire il proprio immaginario. Se preferiremo incontrare i nostri sogni zoomorfi o le nostre pindariche zoopoiesi piuttosto che animali veri e propri, ben presto ci troveremo muti, incapaci di uscire da cliché esausti.
Alla zooantropologia spetta il compito di monitorare questo andamento, di darci cioè il polso delle nostre relazioni (pregresse, in essere o di tendenza) con l'alterità animale.
Ma perché proprio oggi questa necessità?
Forse perché mai come oggi l'uomo si sta accorgendo che la solitudine, oltre che individuale, morale, sociale, nazionale e via dicendo, può essere anche di specie e può avverarsi con la scomparsa degli altri animali. E' una solitudine nuova, latente e strisciante, a tratti evocata da un gesto inconsulto e irrazionale: perché un gatto ci muove tanto interesse, perché siamo disposti a tollerare i fastidi di un animale familiare? Non è per caso che di colpo, senza quasi rendercene pienamente conto, ci siamo sentiti soli, spogliati di una presenza connaturata, di un rapporto appetito etologicamente, iscritto tra i diversi bisogni della nostra specie? Questa è la domanda che ci poniamo e che fa da leitmotiv a tutto questo libro.
La considerazione di partenza è che, a dispetto dell'esplosione della pet-mania nei paesi occidentali, la Terra si sta velocemente desertificando della presenza animale e il nostro quotidiano stesso si sta spogliando dei variopinti colori, dell'immenso repertorio comportamentale, del catalogo morfologico dell'universo animale.
Sempre più presente nell'immaginario quanto più assente nella consuetudine, l'animale è scomparso da quella frequentazione concreta che era possibile nelle campagne non più tardi di trenta-quarant'anni fa e che oggi è impensabile. Nell'immaginario l'animale si è trasformato, un po' come nei bestiari medievali o nelle opere di Ulisse Aldrovandi. La zoopoiesi postmoderna ha ricalcato le orme della produzione disneyana facendo tesoro, tra l'altro, di tutti i retaggi culturali e in particolar modo dei pregiudizi, i più facili da consegnare a una tradizione. Il risultato è un indescrivibile pasticcio teratomorfo, quasi un prodotto onirico che potrebbe essere utilizzato, con il metro di Hillman, per misurare i nostri desideri reconditi e le nostre paure. Ma non è forse vero che l'animale è sempre stato utilizzato come sponda per definire l'alveo della nostra stessa umanità e contenere e dirigere le nostre pulsioni? Quanto più il letto si fa largo, e il nostro desiderio di caratterizzarci/differenziarci diventa pretenzioso, tanto più la riva si allontana, diviene oscura e indefinita. Ma nei momenti di incertezza, quando i paradigmi culturali entrano in crisi, ecco allora che la riva animale diviene una sorta di approdo, un faro. Il rapporto con l'animale è sicuramente una delle esperienze più autentiche e confortanti che la vita ci riserva. Tutti sanno che per migliorare il proprio legame con il cane o il gatto è necessario prima di tutto conoscere la loro etologia, ma pochi sono a conoscenza del fatto che per valorizzare la presenza dell'animale, in casa o più in generale nei diversi contesti della vita, è altrettanto importante capire le caratteristiche di questo rapporto. Quali intimi bisogni trovano soddisfazione nella relazione con l'animale? Per quale motivo l'uomo ha sentito la necessità di addomesticare alcune specie? Perché l'animale continua a influenzare così profondamente i sogni, l'immaginario, il catalogo simbolico, le figure metaforiche, insomma il nostro modo di rappresentare il mondo?
Capire l'intreccio delle relazioni, le alterne vicende di sostituzioni referenziali, la rete dei richiami zoosemiologici, o anche solo fornire loro una metodologia interpretativa, può essere un buon supporto alla comprensione di certi comportamenti che sarebbe inutile, semplicistico, forzato considerare una semplice moda, immagine e frutto di una delle tante aberrazioni della contemporaneità. Al contrario, proprio il modo di riferirsi all'alterità animale, l'esito del dispiegarsi di questa relazione, che parte da un bisogno profondo e si confronta con i modelli culturali presenti, può offrirci un piano di intelligibilità circa le compressioni e le forzature che il nostro modello di vita opera sui nostri bisogni. Possiamo, in definitiva, parlare di una base etologica nella pulsione dell'uomo a instaurare rapporti con altre specie? La nostra vocazione a osservare gli animali, a imparare dagli animali, a ibridarci con gli animali, chiaramente in senso simbolico-figurativo, a traslare strategie da altre etologie e ad addomesticare alcune specie può aver costituito un vantaggio in termini evolutivi?
Se così fosse, tale predisposizione sarebbe iscritta nel nostro modo di essere uomini, liberandosi poi indeterministicamente a seconda delle differenti culture e dando esiti imprevedibili, ma tutti connotati dalla presenza significativa della referenzialità animale. Si tratta solo di un'ipotesi, che cercherò tuttavia di suffragare nel corso di questa ricerca.
Ecco allora che il dato da cui siamo partiti, la desertificazione della referenzialità animale dalla nostra consuetudine e il progressivo venir meno di occasioni di esperienze zooantropologiche, può essere considerato preoccupante per il nostro futuro di uomini.

L'Autore