EDUCARE CANI DA ASSISTENZA
MARCELLO GALIMBERTI, presidente AIUCA, associazione italiana uso cani da assistenza, istruttore/valutatore Dela Society Pet Partners
L'impiego del cane come
mezzo terapeutico/assistenziale (AAA/AAT) è iniziato nel 1960 circa,
quando Boris Levinson, un neuropsichiatra infantile americano, scoprì
che la partecipazione dei suo cane alle sedute con i suoi piccoli pazienti aveva
effetti positivi sulla seduta e sulla terapia in generale. Levinson studiò
a fondo questo fenomeno, introdusse e documentò il modo in cui l'animale
da compagnia poteva favorire e sviluppare il rapporto tra terapista e paziente
e come incrementava la motivazione dei paziente a curarsi. Da quel momento il
mondo scientifico ha approfondito, studiato, ricercato il tema del rapporto
uomo/animale (di diverse specie) con fini terapeutici ed assistenziali, nelle
più svariate condizioni patologiche dell'uomo. In base alla letteratura
esistente e la nostra personale esperienza, affermiamo che è possibile
usufruire dei rapporto uomo/cane per alleviare e curare alcuni aspetti della
condizione della disabilità.
La relazione tra l'uomo e il cane è basata sul legame atavico tra le
due specie e coinvolge gli aspetti psicofisici della persona e molte caratteristiche
che possono risultare vantaggiose per il suo benessere.
Il cane non riconosce la disabilità delle persone come un handicap, la
presenza di deficit fisici, sensoriali, psichici non implicano comunicazione
deficitaria perché il cane è sempre capace di interagire a qualsiasi
livello di gravità dei soggetto, Il suo comportamento non è influenzato
da pregiudizi, giudizi o implicazioni morali che possono invece condizionare
negativamente i rapporti tra umani.
Certi aspetti dei soggetti come la saliva, gli odori, gli stridii, stereotipie
comportamentali che solitamente generano distanza nel rapporto tra gli uomini
sono elementi normali nel mondo comunicativo dei cane e non lo allontanano anzi,
spesso catalizzano l'attenzione e l'interesse per quella situazione.
La presenza di un cane e del suo compagno in un luogo ha spesso delle conseguenze
forti sull'ambiente circostante: crea un generale entusiasmo nelle persone presenti
che predispone alla curiosità e che stimola all'interazione con essi;
qualcuno comincia a chiedere il nome del cane, ad accarezzarlo, ecc.. Svolge
quindi una funzione socializzante perché tende ad ampliare e produrre
le occasioni di contatto tra sé e gli altri (una prova dei desiderio
di interagire con il cane è che spesso dispiace se il cane non vuole
essere avvicinato, accarezzato o peggio ancora se ci dicono che morde).
A seconda della gravità dei soggetto coinvolto in AAA/AAT è possibile
lavorare su aspetti più concreti o più simbolici della relazione.
Se abbiamo un soggetto gravemente ritardato, pressoché incapace di muoversi,
con gravi problemi sensoriali, l'interazione possibile sarà con alti
contenuti concreti: contatto fisico, stimolazione associata dei sensi, es. avere
il cane addosso ed essere leccati. Con soggetti meno gravi e più dotati
si può spostare l'interazione su contenuti più astratti, es. i
bisogni dei cane: mangiare ad una certa ora, uscire all'aperto, necessità
di essere accudito, desiderio di essere coccolato, la conoscenza dei suoi segnali
ecc.. Questo attiva aspetti della propria personalità trascurati e tramite
i processi proiettivi/introiettivi la persona può fare un passo verso
la consapevolezza della loro esistenza e della necessità di esprimerli.
Nei soggetti con difficoltà motorie (che spesso rinforzano i disturbi
psichici) è possibile impiegare il cane come una espansione delle proprie
possibilità di azione e movimento. Per esempio attraverso il "gioco
dei riporto" (a cui questi cani sono addestrati: riprendere un oggetto
caduto, riportarlo e lasciarlo nelle mani o sul grembo), il disabile può
vivere esperienze di indipendenza ed autonomia con la leggerezza del gioco.
Leggendo questa esperienza dal vertice del potere affermiamo che questo basilare
bisogno è collegato direttamente a una maggiore autostima, alla capacità
di creare ed autonomizzarsi che è resa possibile grazie a un generoso
amico che agisce gratuitamente. Questa è una meta fondamentale nell'
affido permanente di un cane a un disabile parzialmente autosufficiente. Queste
caratteristiche relazionali danno al disabile una possibilità in più
di vivere l'esperienza di essere riconosciuto, accettato e immesso nel mondo
degli schemi con l'altro. L'essere accettato è una esperienza di affermazione
del sé che, se pur primitivo, ha bisogno di realizzarsi per non morire.
Per questo, seguendo le parole del Prof. Moretti, diciamo che l'attività
si oppone all'insorgenza dei comportamenti depressivi che iniziano con la depersonalizzazione
per finire con l'emergere di psicotizzazioni, così facili in persone
tanto sensibili. I fattori di caratteri somatici e psichici che l'interazione
con il cane coinvolge sono: impegno, la relazione con il cane, proprio
perché è una relazione, ha delle regole d'interazione semplici
ma basilari che bisogna adottare, questo comporta una educazione all'interazione
con il cane, l'interiorizzare queste regole e agirle opportunamente può
essere un mezzo teso all'educazione del rapporto tra umani; per questo è
necessario lo sviluppo di autocontrollo, controllare la propria voce
nei comandi, i propri gesti, calibrare le carezze, i suoni emessi perché
la comunicazione deve essere chiara il più possibile (una carezza
non deve essere una sberla!), inoltre bisogna concentrarsi o per lo meno adattarsi
allo stile comunicativo dell'altro. Così la socializzazione è
un obiettivo necessario per la stessa interazione sociale. In molte richieste
di intervento e programmi per disabili si perseguono mete psicosociali: percezione
delle proprie emozioni, capacità di esprimerle e condividerle con altri
ecc; investimento affettivo "il più importante meccanismo
d'azione salutare nel rapporto uomo/animale è di tipo affettivo ed ha
una più o meno forte base emozionale"; collaborazione per
imparare a gestire l'animale: i comandi, la conoscenza dei cane ecc. richiede
la disponibilità ad un comportamento collaborativo condiviso da tutto
il gruppo di lavoro. La gratificazione che se ne riceve è in relazione
alla propria condotta, il modo di riceverla è ovviamente in ordine alle
possibilità e alle condizioni dei soggetto.
Quando si interviene su un soggetto con un programma di AAA/AAT è indispensabile
valutare quale cane è più adatto (in termini di temperamento e
carattere) per "quel" soggetto e per quell'attività. Per questo
è importante avere a disposizione più cani addestrati con lo standard
di "cane d' assistenza" tra i quali scegliere il più adatto.
Alcune caratteristiche comportamentali di un cane d'assistenza sono: Spiccata
tendenza all'approccio con Ilaltro, attrazione sociale. Ottima socializzazione,
il cane deve sapersi adattare a luoghi e persone diverse in tempi brevi. Affidabilità,
mancanza di aggressività verso uomini ed animali coinvolti in programmi
di AAA/AAT. Prevedibilità, per questo si sconsiglia l'uso dei cuccioli.
Controllabilità, il compagno del cane deve comprenderne la comunicazione
e comunicare col cane. L'aspetto del cane deve ispirare fiducia.
La formazione del cane d'assistenza comincia dalla scelta dei genitori dei cucciolo,
continua con la selezione all'interno della cucciolata (nessun cucciolo è
caratterialmente uguale anche se della medesima razza), prosegue con la fase
della socializzazione e dell'educazione fino a circa un anno di età per
passare poi all'addestramento specifico. Ma l'aspetto più importante
e delicato è l'attenzione costante alla crescita fisica e soprattutto
emotiva del giovane cane che richiede professionalità e conoscenza del
comportamento canino. E' facile intuire che simili caratteristiche non possono
essere frutto della casualità perciò è importante saper
preparare e scegliere il cane per poterlo impiegare garantendone il benessere
perché è proprio tramite il benessere dei cane che l'interazione
col disabile è facilitata, in quanto spontanea e immediata.
Gli incontri di AAA/AAT possono essere individuali o destinati a gruppi, in
questo caso è consigliabile l'omogeneità del gruppo. Generalmente
la durata per un incontro individuale è di 30 minuti, per quelli di gruppo
un'ora. All'incontro partecipa il team "uomo/cane" in quanto non solo
il cane deve avere le attitudini ma anche il suo conduttore inoltre la sua presenza
è necessaria per tutelare la salute del cane da stress troppo intensi,
da situazioni fisiche ed ambientali pericolose e per suggerire quali piccole
modifiche ambientali è consigliato attuare per accogliere al meglio questa
attività. Il cane, rassicurato dalla presenza del "compagno di team"
si adatta più facilmente a situazioni, persone, ambienti anche poco familiari.
Talvolta, per vari motivi, è necessario sostituire un cane con un altro
durante la stessa seduta.
La frequenza degli incontri varia a seconda dei tipo di interventi ma deve essere
tale da creare un senso di continuità perché l'attività
costituisca un'esperienza significativa per la crescita del soggetto. Almeno
un incontro settimanale per gruppi o soggetti singoli di AAA/AAT. La frequenza
degli incontri è chiaramente connessa con la maggior familiarità
reciproca dei soggetti coinvolti nell'interazione e con la creazione del legame
emozionale che è il più importante meccanismo di azione salutare
della cura con l'animale.