il rapporto con l’animale come condizione per la community  

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Prim’ancora di discutere se l’animale possa o no soffrire, se avverta la morte imminente, se lo si può dichiarare portatore di diritti, se è in grado di “capire” e via dicendo, un tale principio interpretativo va alla radice e capovolge in modo copernicano il problema. Prima di interrogarci sull’oggetto, interroghiamo noi interroganti. Quali presupposti ci governano quando pensiamo agli animali, al rapporto uomo- animale, o pratichiamo il nostro concreto rapporto – se c’è – con l’animale? E’ possibile che trattando l’animale come – per esempio - un eterno bambino, questo dica qualcosa sulla nostra scarsa capacità di vivere la discreta varietà in cui può darsi una relazione?

E’ possibile pensare altrimenti? E quali guadagni ne otterremmo? Una simile decisione non ha ovviamente l’asettico sapore teoreticistico ma può sorgere solo radicata in un modo concreto di praticare il rapporto con l’animale. A questo ci rende avvertiti Barbara Smuts. Gli animali ci sorprendono se noi ci disponiamo verso di loro alzando il livello consolidato delle aspettative. Ma il livello lo possiamo alzare solo se entriamo in rapporto con loro; solo nella pratica dello stare-con veniamo invitati a correggere i nostri presupposti e possiamo poi verificarne l’effetto. Allora pioveranno «doni imprevedibili».

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